Viviamo in un’epoca dove il moderno ruba spazio e tempo alla tradizione ma, in sostanza, cos’è la tradizione? Tradizione deriva dalla parola latina tradere composta da tra (oltre) e dare (consegnare): trasmettere oltre. I nostri avi ci tenevano a
diffondere quelle che erano le usanze e i costumi di un tempo ciò che i nonni regalavano ai nipoti: i racconti di una guerra, il
corredo per il matrimonio e tante abitudini che ancora oggi alcune persone cercano di preservare e conservare.
Ma la tradizione, tutto sommato, non è altro che una trasmissione nel tempo di memorie, ricordi, che molto spesso si perdono nei meandri dell’innovazione. Oscar Wild però diceva che la tradizione è un’ innovazione ben riuscita e cosa le accomuna entrambe? Il tempo.
Il presente è un’evoluzione del tempo passato ma in tutto ciò: che fine fanno le tradizioni? Stanno morendo? Subiscono mutamenti? Molto spesso il consumismo spinge alla modernizzazione delle usanze che in passato erano sacre e che lentamente vengono sostituite con mode e modi di fare del momento. Negli anni ‘90 non si notava un addobbo di Natale non prima dell’8 di dicembre adesso, invece, sempre più spesso si notano ghirlande e panettoni anche ad ottobre. Ci sono delle “immagini culturali” che, legate a dei consumi, che vengono associate a determinati periodi dell’anno, in passato elemento fondamentale per vivere una festa o una ricorrenza.
Ma torniamo a noi, perché la cucina tradizionale fa paura alle nuove generazioni? Osservando il mondo della ristorazione da vicino, la cucina tradizionale viene associata ad una cucina povera, senza creatività, senza arte, ma dobbiamo riflettere che la vera e propria arte della cucina di quel tempo era la trasformazione generata dalla genialità delle massaie. Piatti semplici d’assoluta bontà con gli ingredienti ritenuti di scarto per la cucina dei ricchi, creando cosi una cucina rustica, piena di sapori autentici e riconoscibili, riconducibili ad un singolo territorio come ad esempio gli gnommareddhi.
Un tempo, a Natale e a Pasqua, sulla tavola del barone o del marchese, veniva servito l’agnello da latte con le stoviglie d’argento mentre le interiora dell’animale venivano scartate. Le povere donne facevano di necessità virtù e, dopo aver recuperato le interiora le tagliavano, le selezionavano, le legavano insieme col budello e dopo averle insaporite con le spezie, le cuocevano in una terrina insieme alle patate.
Questo è uno dei piatti che oggi onora la cucina salentina, realizzato anche in alcuni importanti ristoranti di livello del Salento e non solo. In tutto questo vivere il nostro tempo in maniera frenetica ci rendiamo conto della possibilità di tradire le tradizioni? Basterebbe lentamente riportarle in vita per le generazioni che non le hanno vissute, ritagliandoci tutto il tempo necessario e aiutandoci con l’innovazione acquisita nel tempo.
Bisogna raccontare come una favola quello che è stato il nostro passato per consegnare alla nostra linea di tempo una tradizione innovata.
Foto di Giuliano Sabato