di Ornella Cacciatore
Mi ricordo…i contrastati anni settanta a Taviano, piccolo paesino del Salento… Avevo 14 anni, testa piena di sogni, progetti, fantasie. Sembrava tutto semplice tranquillo, normale. Scuola, casa, amici… e poi l’adolescenza: stagione terribile e allo stesso tempo magica, che ogni ragazzo vive. Soprattutto a quei tempi quando non era così semplice l’interazione con i propri coetanei. Come invece oggi è tutto a portata di mano, anzi di dito, che con un touch comunichi con il mondo. Ancora di più quando si era una ragazza. Con i limiti, i tabù materni e differenze di genere proprie di quegli anni.
La mia famiglia aveva un negozio posizionato proprio in quello che all’epoca era il centro del paese: il famoso Corso Vittorio Emanuele, dove ogni attività avvenimento, “inciucio” si articolava e diffondeva.
Su quel marciapiede largo e “rialzato”, quasi a separarsi dal paesino piccolo e antiquato, vivevano storie, incontri, amori, litigi, dispetti, e noi ragazzi eravamo i principali protagonisti, perché sempre a quell’epoca, si aveva il tempo dopo la scuola, gli obblighi familiari e i compiti, di uscire, incontrare gli amici, spettegolare su chi stava con chi, chi si era lasciato, chi moriva di gelosia.
Su quel corso c’erano oltre al negozio dei miei, centro principale di osservazioni di noi fanciulle che “non stava bene stare a ciondolare in giro” ma con la scusa di andare a vedere gli ultimi arrivi, (era un negozio di abbigliamento abbastanza all’avanguardia per quei tempi) potevamo stare sulla porta per veder passare, spiare e occhieggiare l’innamorato, o presunto tale, di turno.
All’angolo estremo destro vi era una rinomata pasticceria, “Da Claudio”, che forniva oltre a gustosi dolci, salati e quant’altro, anche opportuni scalini e spazio intorno, popolato dai belli del paese, che con i “mosconi”, grossi motorini equipaggiati come piccole “Vespe”, facevano sfoggio del loro fascino, e godevano a farsi vedere, anelare, e proponendosi alle fanciulle imberbi e completamente ingenue per romantici idilli innocenti.
Ma non solo i ragazzi popolavano quel posto. Anche gli adulti indaffarati non disdegnavano, sul calar della sera, una piccola passeggiata con la scusa di prendere “la fettina per la cena”, dalla macelleria Rainò situata all’estrema sinistra, oppure anche loro, il gelato da Claudio, mentre la freschezza del crepuscolo, (anche il clima in quell’epoca era più clemente e dolce) rilassava dopo la giornata intensa di lavoro.
Accanto al negozio dei miei, quasi porta a porta, era la “Profumeria Portaccio”, anch’essa ritrovo e punto di osservazione e complicità condivisa con la figlia del proprietario, una nostra coetanea e compagna di scuola con cui scambiavo impressioni e risate e segreti…
E ancora poi nelle feste del patrono “S. Martino” dove era d’obbligo l’abito nuovo, i capelli tagliati di fresco e soprattutto qualcuno con cui accompagnarsi per sfilare sul quel marciapiede palcoscenico della vita di quel paese che era Taviano, rinomato per la produzione dei fiori, non solo in Puglia ma anche sul territorio nazionale.
Vi era anche il fenomeno degli “stranieri” che non erano come adesso, poveri rifugiati che scappano da realtà invivibili, ma quelli che provenivano dai paesi vicini che non avevano a disposizione quella vetrina di passeggio e che provavano l’ebbrezza di quella condivisione umana, giovanile e di confronto.
In corrispondenza al marciapiede del negozio dei miei, vi era l’altra parte di eguale larghezza a e lunghezza, dove lo “struscio” era più fluido perché non c’erano attività commerciali, ma solo case dei principali notabili paesani, a parte in fondo alla via un emporio: “Martino Donno”, dove quaderni, matite e libri erano a disposizione per i rifornimenti scolastici e il tempo libero. E si, in quel periodo si trovava il tempo anche di leggere…
Nelle case che c’erano su questa parte di marciapiede qualche balcone anche quello in “posizioni strategiche”, per continuare l’osservazione dell’amato, complice amiche residenti e disponibili, assolutamente in tranquillo anonimato.
Questa era la vita, il senso, le giornate. Forse a noi che lo vivevamo non sembrava, ma ora con la nebbia dei ricordi ottenebrata dal fascino del “era bello, era diverso…” ci viene fuori l’invidia di quei momenti che erano leggeri, senza affanni ne patemi che il crescere porta nell’esistenza di ognuno di noi. E che nella vita di ogni giorno vediamo non replicata nei ragazzi di oggi, perché è diverso il sentire, è diverso il cuore, è diversa l’innocenza… O forse questa si è persa per sempre nelle pieghe di un universo virtuale che ci circonda privandoci della vera realtà.