Le nuove generazioni sfruttano buona parte del loro tempo libero sulle piattaforme di gaming o davanti ai loro smartphone. La convivialità e l’aggregazione erano punto forte dei ragazzi nati a cavallo tra gli anni 70 e 80, cresciuti senza telefonini, ma con i diari che venivano passati tra i banchi di scuola. Il contatto umano era molto sentito e nelle comitive di amici esistevano dei punti di ritrovo pomeridiani prestabiliti. Se prima i genitori monitoravano i propri figli per l’utilizzo delle console fisiche, con l’avvento del gaming online i ragazzi hanno molta più libertà per l’utilizzo delle piattaforme virtuali.
Mediamente si trascorrono circa 7 ore davanti al proprio smartphone e/o pc tra messaggistica virtuale, giochi, social e musica. Il tempo aumenta se l’età del fruitore diminuisce arrivando anche a sfiorare le 10 ore al giorno. Con l’arrivo della pandemia gli abbonamenti di gaming online sono cresciuti del +9% rispetto al 2020 generando un incasso di circa 175 miliardi di dollari con una stima di crescita che prevede un fatturato che sfiorerà i 250 miliardi. Su come affrontano le nuove generazioni l’utilizzo dei dispositivi elettronici abbiamo parlato con la dott.ssa Annarita Denaro, laureata in Psicologia Clinica e di Comunità presso Università La Sapienza di Roma nel 2006, in training attuale presso IIPG Istituto Italiano Psicoanalisi di Gruppo, impegnata presso la scuola secondaria dell’Istituto comprensivo statale “Angelo Vassallo” di Racale per la gestione del servizio d’ascolto psicologico con attività individuali e di gruppo.
Dottoressa, com’è cambiata dal punto di vista professionale la sua attività da quando è iniziata la pandemia?
Professionalmente non è cambiato molto, la novità del lavoro on line l’avevo vissuta qualche anno fa, seguivo alcuni ragazzi che durante la psicoterapia hanno deciso di fare esperienze all’estero e per questo abbiamo pensato insieme di continuare il lavoro in videochiamata. La mia vita è cambiata molto di più dal punto di vista personale, ad agosto 2020 mi son trasferita dopo quasi 20 anni di vita a Roma qui in provincia, decisione presa ben prima della pandemia.
L’avvento degli smartphone e del gaming online hanno mutato il modo di vivere ed affrontare le giornate dei ragazzi, cosa percepisce ascoltandoli e vedendoli tra i banchi di scuola?
Credo che la Rete e tutta la tecnologia siano possibilità straordinarie e preziose, è l’uso che se ne fa che purtroppo non sempre è sano ed equilibrato. Sappiamo che l’utilizzo di dispositivi vari e smarthphone coinvolge ragazzi sempre più giovani, dati che ho visto confermati anche qui a Racale, in linea con Osservatorio Nazionale Adolescenza. Non pretendo di parlare per tutta la scuola, ma posso dire che quasi la totalità dei ragazzi incontrati vive la dimensione virtuale, nonostante il controllo delle famiglie che in questa fascia d’età (e non oltre) trovo sano e funzionale. Devo dire che ho potuto osservare un utilizzo della Rete vissuto senza estremismi, questi ragazzi condividono molto del tempo con la famiglia, hanno un riferimento importante nei nonni, hanno idee e sogni per il futuro e preferiscono vedersi con gli amici nella realtà. Posso fare un’ipotesi: la pandemia e i lockdown più severi hanno portato un desiderio ancora più forte di vivere esperienze autentiche al di fuori della propria stanza.
Molto spesso assistiamo a scene in cui i genitori per tenere a bada i loro figli e per farli mangiare li piazzano davanti ad uno smartphone, quanto può essere negativo?
Vero, una scena vista tante volte, che non criticherei a priori. Mi chiederei: succede tutti i giorni, tutti i pranzi e le cene? I bambini mangiano soli? E i genitori cosa fanno nel frattempo? Forse nella scena che descrivi non è́ lo smarthphone il problema, stiamo parlando del tempo e soprattutto della qualità del tempo che passiamo con i nostri affetti, oggi come anni fa. Credo fortemente che la comunicazione con i propri figli valga più di regole rigide e inflessibili o di premi e regali. Quanto è importante uno scambio sincero, dai più piccoli ai più grandi!
Secondo lei sono venuti meno i rapporti umani nelle nuove generazioni? Perché si nascondono dietro ad uno schermo virtuale con un’identità diversa?
Credo che nei ragazzi ci sia un grande desiderio di rapporti umani autentici. Il desiderio di raccontarsi, di scrivere di sé in un periodo di profonda trasformazione come l’adolescenza è qualcosa che conosciamo bene da sempre, pensiamo a qualche anno fa e a noi adolescenti, ai diari scolastici che diventavano in realtà luogo dove annotare canzoni, amori, eventi e qualche volta compiti, diari poi sostituiti dai blog, ora dai social. Social che hanno un valore aggiunto rispetto a prima in termini di socializzazione e prospettive, possibilità̀ di dialogare con realtà che altrimenti non avresti conosciuto, almeno non così facilmente e in maniera così diffusa. Detto questo poi dovremmo considerare che l’utilizzo dei social da una parte espone (in una sorta di vetrina, con relativi rischi), dall’altra in realtà tutela fortemente dal confronto reale con l’altro. Anche qui dipende da come li si utilizzano, può diventare rifugio dove nascondersi nell’attesa di trovare la propria voce, magari per quei ragazzi più fragili con sentimenti di inadeguatezza importanti, con mille potenzialità ancora inespresse; arrivando nei casi più estremi a situazioni di ‘ritiro sociale’ e di alienazione, fenomeno che stavamo osservando da tempo e che la pandemia ha inasprito.
Come vede proiettate le nuove generazioni nel futuro?
Ammetto di non saper rispondere. Ho fatto la stessa domanda al mio maestro Giuseppe De Vita , Psicoanalista didatta IIPG, e lui mi ha risposto che ‘nel fare previsioni si rischia solamente di fare una brutta figura, la pensa allo stesso modo Woody Allen.’ Regista citato in abbondanza, che tanto parla di psicanalisti al lavoro, facendoci sorridere il più delle volte.
Grazie per aver messo a nostra disposizione le sue conoscenze. Per finire, che consiglio si sente di dare a quei ragazzi che hanno timore nell’affrontare un discorso con un esperto?
Grazie a voi, anche per i progetti e la creatività che state portando a scuola. Il mio lavoro non funziona se si è da soli, è la collaborazione che fa la differenza tra interventi utili ed efficaci e non, qui al Vassallo ho avuto la fortuna di incontrare persone davvero in gamba. Devo dire che i ragazzi rispondono sempre con molta curiosità e interesse, grazie anche alla mediazione preziosa degli insegnanti; sono le famiglie, gli adulti, ad avere più dubbi; pensare che avrebbe decisamente più senso lavorare sulla prevenzione, sulla promozione del benessere psicologico e non sul disagio, sul sintomo ormai radicato. Onestamente capisco queste famiglie; è un discorso ampio, di sensibilizzazione e cambiamento culturale che riguarda tutta la nostra Italia. D’altra parte le amministrazioni e la politica non aiutano, vi faccio un esempio: perché il Bonus Salute Mentale non è rientrato nella Legge di Bilancio 2022? Perché è tanto difficile investire 50 milioni di euro per sostenere le persone che non si possono permettere cure e assistenza sanitaria e psicologica? Assolutamente d’accordo con chi sostiene che ci vogliono degli interventi più strutturati e continuativi, che coinvolgano sistema sanità pubblica e società scientifiche di psicoterapia, ma questo bonus poteva essere un aiuto nell’immediato, soprattutto dopo 2 anni di questa pandemia che ha profondamente influenzato le nostre vite.
Ci sono usi e costumi che sono andati persi nel tempo. A fine anni 90’ l’abitudine dei ragazzi era quella di ritrovarsi nel pomeriggio per la partita di calcetto. Uno dei primi luoghi di ritrovo per tirare due calci ad un pallone era il campetto adiacente all’Istituto Comprensivo “Angelo Vassallo” di Racale: ci si incontrava e saltando la recinzione di sicurezza, iniziavano le lunghe battaglie a suon di gol. In queste lunghe sfide calcistiche, molto spesso, l’orologio non veniva tenuto in considerazione e succedeva che i compiti per casa venivano svolti nel tardo pomeriggio, una volta rientrati. Oltre ai campi “istituzionali”, esistevano anche dei luoghi in periferia che venivano attrezzati con porte di fortuna. A Racale erano due le postazioni adibite a campo di calcio, la prima tra Racale ed Alliste, conosciuta come “U campu du Bagnatu” e la seconda “U campu Scavatu”, vicino ai semafori sulla strada di Torre Suda. Terra rossa e sassi erano gli elementi principali di questi “terreni da gioco”, ma visto lo sviluppo nell’industria calzaturiera del comune di Racale, per far sì che il portiere non si facesse male buttandosi sul terreno, in area di rigore venivano buttati i “Curudduli” (scarti derivati dalla chiusura delle calze). La bellezza di gruppi di ragazzi che si aggregavano e vivevano i loro pomeriggi in spensieratezza tirando due calci ad un pallone è un’immagine che, per chi ha vissuto quei momenti, resterà impressa per sempre nei loro cuori.
Foto di Giuliano Sabato