di Silvia Serio – Negli anni ’80 ho iniziato a lavorare come medico nell’ambulatorio del dottore Ligori. I pazienti, prima di andare al lavoro, lasciavano sotto la porta dello studio i bigliettini col loro nome e l’indirizzo di casa. Il giorno dopo facevamo il giro visite. Lui aveva l’abitudine di passare ogni giorno dai pazienti più gravi, per seguire quotidianamente lo sviluppo della
patologia. Ligori aveva una topolina, l’aveva chiamata Catarina; per una forma di rispetto nei suoi confronti, le persone quando la riconoscevano salutavano sempre, indipendentemente se ci fosse lui al suo interno o se al volante ci fosse qualcun altro.
Cominciamo così quest’intervista, con le parole di un dottore prossimo a salutare la professione. Domani, 31 dicembre, infatti, il dott. Luigi Gravili, dopo quarant’anni di lavoro, andrà in pensione come altri medici e mediche di base qui a Racale: Federica Sauro, Rocco Borgia e Maria Stella Marzano (in pensione già da qualche settimana).
Il racconto della sua carriera ci porta indietro nel tempo. “Dopo la laurea uscivamo tutti con ottime conoscenze teoriche ma nulle a livello pratico. Ho lavorato nel pronto soccorso estivo, poi nella guardia medica e infine sono partito per fare dodici mesi di leva militare”.
In quel periodo hai avuto modo di fare qualcosa inerente al tuo percorso di studi?
Ero un barelliere ma non c’è stato mai bisogno di un mio intervento in quella veste. Una volta un meccanico si ferì alla testa e dovetti praticare io la sutura perchè il capitano medico, in realtà, non aveva alcun tipo di esperienza e si affidò a me. Poi prescrivevo sottobanco molti ansiolitici a capitani e generali. Le ricette le intestavo alle mogli, alle madri. Non si doveva sapere che loro assumevano quei farmaci.
Sai, l’ambiente militare era molto stressante, molti di loro non volevano neanche stare lì, lontani dalle loro famiglie. Anche tornato qui a Racale, quando i rappresentanti farmaceutici ci proponevano gli psicofarmaci, io mi chiedevo quando li avremmo mai prescritti. Le malattie psichiatriche non erano accettate e l’informazione a riguardo era molto limitata; col tempo ho visto un’evoluzione, l’approccio a questo tipo di problemi è cambiato. Racale aveva una cultura prettamente contadina, non era ancora esploso il boom dei calzifici e c’era molto riserbo per le malattie in generale. Le persone prima non volevano che si sapesse che si rivolgevano al medico per paura di non trovare lavoro.
Ancora oggi è rischioso lavorare in guardia medica, purtroppo dottori e dottoresse vengono aggrediti, mi chiedo se non sarebbe il caso di affiancare pattuglie delle forze dell’ordine…
Io ho fatto la guardia medica a Taurisano, in un posto che la notte rimaneva isolato. Avevamo grate alle porte, ci venivano consegnate boccette di Valium da dare ai drogati che venivano in ambulatorio. Era un modo per tenerli tranquilli, una sorta di obolo. Purtroppo una dottoressa venne violentata durante un turno di notte. Ed è vero, ancora oggi lavorare in guardia medica non è sicuro, dovrebbero trovare una soluzione, anche per le visite a domicilio.
In realtà, la domanda con la quale ho deciso di aprire l’intervista martedì pomeriggio, era un’altra. Ho chiesto al dottore quale fosse stato l’ultimo pensiero prima di addormentarsi ieri sera (la sera del 27 dicembre, ndr).
Il dottore mi ha risposto che non lo ricordava, era rimasto fino a sera inoltrata in ambulatorio e a casa era crollato a letto.
Ho finito tardi perchè nell’ultimo periodo ho avuto un sovraccarico di lavoro, anche di richieste di analisi, come se dopo di me non dovesse esserci più nessuno a prescriverle. A metà anni ’80 era stato posto un limite al massimale dei medici di base e io feci un’associazione con il dottore Ligori, prendendo in carico parte dei suoi pazienti.
Questo aveva garantito un approccio simile al paziente e una continuità nella cura. Ma ora che andrai in pensione, verrà garantita continuità ai tuoi pazienti?
Non c’è la collegialità di un tempo. Fino a qualche anno fa, se un mio paziente veniva ricoverato in ospedale io discutevo il caso con i medici ospedalieri e il paziente era rassicurato da questa collaborazione. Ciò mi permetteva di avere una conoscenza più completa e corretta del decorso della malattia ed era sicuramente più facile prendersi cura del paziente una volta dimesso. Con il collega che prenderà il mio posto, al momento, non c’è stata la possibilità di scambiarci informazioni sui pazienti, ma non vuol dire che ciò non avverrà.
Qualora dovesse presentarsi la necessità io sarò a sua disposizione.